Jobs Act: Illegittimità costituzionale dell’ art. 3 c. 1 D.Lgs. 23/2015, anche successivamente alle modifiche apportate dal D.L. 87/2018
- 9 novembre 2018
- opelegis
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È stata pubblicata la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015, sia nel testo originario sia in quello modificato dal D.L. 87/2018, nella parte in cui stabilisce che il metodo di calcolo del risarcimento in caso di illegittimità del licenziamento deve essere parametrato alla sola anzianità di servizio del lavoratore.
Nell’ambito del c.d. Jobs Act, la Corte ha stabilito che in caso di licenziamento illegittimo, il giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (prima 4, ora 6 mensilità) e massimo (prima 24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.
Il meccanismo di quantificazione – un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” – rende infatti l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.
La Corte nell’affermare l’irragionevolezza del rimedio propugnato all’art. 3 c.1 del Jobs Act, si è così testualmente espressa:
“In una vicenda che coinvolge la persona del lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia. Tale discrezionalità si esercita, comunque, entro confini tracciati dal legislatore per garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto, entro una soglia minima e una massima.
All’interno di un sistema equilibrato di tutele, bilanciato con i valori dell’impresa, la discrezionalità del giudice risponde, infatti, all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza.
La previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – diverse.”
Il giudice dovrà, pertanto, fare riferimento a criteri compositi e non solo al criterio dell’anzianità, graduando e modulando l’entità del risarcimento sulla base del caso concreto.